I partigiani

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Masia Massenzio

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Masia Massenzio, «Max, Giovanni Bianchini», nasce il 2 Settembre 1902 a Como. Nel 1943 è domiciliato a Bologna. Si laurea in Scienze economiche e trova impiego come dirigente bancario. Iscritto al Partito Repubblicano Italiano e poi al Partito d'Azione.

Con Dario Barontini, Gianguido Borghese e Verenin Grazia è uno dei massimi dirigenti della lotta di liberazione in Emilia-Romagna.

Dotato di grandissima umanità e di una naturale propensione ai rapporti umani, è un tecnico bancario che agli studi di alta finanza unisce quelli umanistici. Parla tre lingue e scrive in qualità di giornalista pubblicista.

Ha poco più di diciassette anni quando fugge dalla casa paterna per correre a Fiume e arruolarsi tra i legionari di Gabriele DʼAnnunzio. La spedizione fiumana è unʼesperienza determinante per la sua vita, anche se in seguito riconosce i limiti e soprattutto gli errori di quellʼavventura giovanile. Dopo il tragico «natale di sangue» torna a Como per completare gli studi di ragioneria. Contemporaneamente - a conferma della sua versatilità - inizia a lavorare come disegnatore di stoffe presso una ditta tessile comasca. Nel 1923 lascia nuovamente Como per frequentare la facoltà di Magistero a Venezia, dove entra in contatto con un contesto politico-culturale più ampio rispetto a quello della sua città natale.

Sullʼesempio di Luzzatto, che spenderà parole di grande elogio per lui, e altri democratici veneziani, nel 1924 aderisce alla Giovane Italia, una società segreta promossa da liberali, socialisti e repubblicani che si propone di ripristinare il regime democratico-costituzionale.

Lo stesso anno a Como ricostituisce la sezione del PRI della quale viene eletto segretario. Quando la sezione è scoperta dalla polizia, Masia è schedato come sovversivo, ma non arrestato.

Dopo la laurea, rientra a Como, dove riprende il vecchio mestiere di disegnatore di stoffe.

Nel 1930 - avendo dato prova di buona condotta politica - viene radiato dallʼelenco dei sovversivi. Lo stesso anno inizia a lavorare allʼOlivetti e si reca prima a Catania, e poi a Milano.

Approfitta delle necessità di spostamento per tenere in contatto i membri della Giovane Italia.

Successivamente aderisce al Movimento Giustizia e Libertà, nel quale erano confluiti ex socialisti ed ex repubblicani, oltre che i dirigenti della vecchia Italia Libera. Sempre per motivi di lavoro, compie numerosi viaggi in Asia dei quali restano ampi e dettagliati resoconti nella rivista mensile del Touring Club Italiano. Dopo essere stato assunto dallʼIstituto internazionale delle Casse di Risparmio, inizia a collaborare alla “Rivista delle Casse di Risparmio”.

Alla fine del 1942 è tra i fondatori del Partito d'Azione, nel quale confluiscono gli esponenti del Movimento di Giustizia e Libertà, i gruppi liberalsocialisti e altre formazioni politiche minori. Nello stesso anno è richiamato alle armi e destinato allʼufficio della censura postale a Bologna. Una volta trasferitosi sotto le due Torri non ha difficoltà a prendere contatto con gli esponenti locali di GL, con i quali fonda la sezione bolognese del PdA.

Nel giugno 1943 diventa il rappresentante del PdA nel comitato militare del Fronte per la pace e la libertà, il primo organismo unitario dellʼantifascismo bolognese.

Il 10 Giugno 1943 viene arrestato dalla polizia, unitamente ad altri esponenti del PdA, del PSI e del Movimento di Unità Proletaria. Riacquista preso la libertà.

Durante il breve interregno badogliano rappresenta il PdA nella redazione di “Rinascita”, il periodico clandestino del Fronte per la pace e la libertà. A differenza del PRI, del PLI e degli esponenti cattolici - che si erano ritirati - il PSI, il PCI e il PdA ritengono che la funzione del Fronte non sia esaurita. Tocca a lui il compito di esortare le altre forze politiche:”Vi sono delle ore nella storia dei popoli - scrive nellʼeditoriale del primo numero di “Rinascita”, intitolato “Presentazione” - in cui si sente che tutto, lʼavvenire, la vita stessa, sono in gioco. Vi sono delle ore in cui è necessario saper guardare in faccia alla realtà, tralasciando ogni preoccupazione od interesse personale per adeguarsi alle responsabilità imposte dalla situazione [...]”

Durante l'occupazione tedesca diviene responsabile del PdA per lʼEmilia-Romagna, mentre responsabile militare è Mario Jacchia, e per qualche tempo è rappresentante del partito nel Comitato di Liberazione Nazionale. Allʼinterno del primo organismo unitario della Resistenza - al quale, in quel periodo, aderiscono PCI, PSI e PdA - è deciso sostenitore della linea politico-militare che presuppone la lotta totale contro il nazifascismo.

Quando cadde Jacchia, assume la responsabilità delle formazioni GL dellʼEmilia-Romagna. È lui il centro di ogni attività politica e militare, cosa che rende inevitabile la sua scoperta d parte dei fascisti. Localizzatolo forse nel Luglio 1944, la polizia, anziché arrestarlo, preferisce infiltrare due spie nelle fila del PdA. Erano Paolo Kesler e Ivo Zampanelli (rispettivamente alias Ivo Severi e Aquila nera).

In agosto Parri gli consiglia di non tornare a Bologna: la clandestinità richiede che i dirigenti cambino spesso per non essere scoperti. Masia preferisce non abbandonare i compagni di lotta. Tornato a Bologna, viene arrestato nella notte tra il 3 e il 4 Settembre 1944 unitamente ad altri ventidue compagni di lotta, quando le due spie fasciste ritengono di avere individuato e identificato un nucleo consistente di partigiani.

Gli altri arrestati erano: Sario Bassanelli, Iolanda Benini, Enrico Bernardi, Giancarlo Canè, Orlando Canova, Sante Caselli, Giorgio Chierici, Giuseppe Di Domizio, Sergio Forni, Arturo Gatto, Mario Giurini, Massimo Massei, Gino Onofri, Nazario Sauro Onofri, Leda Orlandi in Bastia, Armando Quadri, Anselmo Ramazzotti, Giosuè Sabbadini, Pietro Zanelli, Umberto Zanetti, Alberto Zoboli e Luigi Zoboli. Nella caserma della GNR di via Borgolocchi, viene sottoposto a terribili torture, ma non tradisce i compagni di lotta. Nel verbale dellʼinterrogatorio è detto testualmente: «Nellʼinterrogatorio non ha fatto nessuna dichiarazione, ma si è limitato a vaghi accenni sui princìpi ideologici del Partito dʼAzione. Ha tentato, nellʼufficio politico, di avvelenarsi. Ha tentato il suicidio gettandosi da una finestra di un secondo piano pur essendo sorvegliato ed ammanettato».

Il 19 Settembre 1944 il Tribunale militare straordinario di guerra lo condanna a morte con altri sette compagni. La sentenza ha luogo al poligono di tiro il 23 Settembre 1944.

Per onorarne la memoria lʼ8ª brigata GL di Bologna e una divisione GL dellʼOltrepo pavese prendono il suo nome.

Riconosciuto partigiano nellʼ8ª brigata GL Masia dal 9 Settembre 1943 al 23 Settembre 1944.

Le città di Bologna e di Como gli hanno dedicato una strada. Gli è stata conferita la medaglia dʼoro al valor militare alla memoria con la seguente motivazione: «Entrava tra i primi nelle forze della resistenza della sua zona diventandone lʼanimatore. Incurante dei gravi pericoli che la sua multiforme attività comportava, si adoperava in tenace e feconda opera di reclutamento di partigiani e mediante brillanti colpi di mano procurava loro abbondanza di armi, munizioni e vettovaglie sottratte allʼavversario. Scoperto, catturato e sottoposto a gravi sevizie, si rifiutava di rivelare qualunque notizia che potesse tradire i commilitoni ed il reparto di appartenenza, tentando addirittura il suicidio nel timore di tradirsi sotto le torture. Condannato a morte, rifiutava di chiedere la grazia, come propostogli e affrontava con sereno stoicismo il plotone di esecuzione. Luminoso esempio di nobile animo di combattente e patriota». Bologna, 23 settembre 1944.

 

 

Il monumento

Il poligono di tiro

Bassanelli Sario

Caselli Sante

Gatto Arturo

Giurini Mario

Quadri Armando

Zanelli Pietro

Zoboli Luigi


Giù