I partigiani

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La battaglia dell'Università


"Battaglia dell'Università"

 Via San Giacomo, 3

 

l'Università degli Studi di Bologna, a partire da l'8 settembre 1944, accoglie al suo interno una crescente attività clandestina che ha il suo centro operativo nell'istituto di geografia.
Il centro verrà distrutto e i combattenti barbaramente assassinati nel pomeriggio del 20 ottobre 1944. I nomi dei sei partigiani deceduti quel giorno sono scolpiti nella lapide che ne onora la memoria: Mario Bastia, Ezio Giaccone, Leo e Luciano Pizzigotti, Stelio Ronzani e Antonio Scaravilli.

 

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L'Università di Bologna, questa fortezza edilizia racchiusa tra via Zamboni, via San Giacomo, via Selmi, via Belmeloro, articolata al suo interno in un labirinto di edifici, cortili, piccoli giardini, scale, passaggi interni, soffitte e sotterranei, nel 1944 era un'istituzione fascistizzata ma che nascondeva un'anima clandestina in difesa del pensiero libero.
Tutti gli enti, gli organismi statali, i funzionari e i docenti dovevano prestare giuramento di fedeltà al regime. Su 1200 professori del corpo docente di tutte le Università italiane, solo 12 abbandonarono l'insegnamento piuttosto che giurare. Ma il coraggio risiedeva anche nella scelta di chi decideva di non lasciare spazio a docenti nominati dall'alto, un compromesso che consentiva loro di rimanere vicino ai giovani.
All'interno dell'università, nella sede centrale, negli istituti distaccati, nelle cliniche, si erano formati una quantità di gruppi con diversa ispirazione politica, ma uniti da un sentimento di rivolta morale contro il fascismo e i suoi metodi di governo e pronti a sostenere, non solo ideologicamente, gli operai ed i contadini nella lotta armata.
Da ricordare Il "Gruppo intellettuali Antonio Labriola", formatosi nell'inverno del 1941-1942 nell'Istituto di Statistica, in fondo a via Milazzo che, attraverso la rivista "Tempi nuovi", denunciava il servilismo che intorbidiva larga parte del mondo universitario.
Anche all'interno della Gioventù Universitaria Fascista serpeggiavano inquietudine e malumori, come testimoniano le pagine della rivista del GUF bolognese.
Fu in questo clima che venne attuata quella che fu denominata "operazione radium", ovvero l'impresa vittoriosa che vide coinvolti l'ideatore Massenzio Masia, il professore Filippo d'Ajùtolo, Mario Bastìa, i professori Palmieri e Gardini, diretti responsabili dell'istituto.  Il gruppo riuscì a sottrarre ai tedeschi la dotazione di radium dell'Istituto di Radiologia, così preziosa per i malati, ed utilizzata invece per la preparazione di armi segrete, una beffa per i soldati di tedeschi che non dimenticarono di vendicare.
La biblioteca della Facoltà di Lettere, situata allora in via Zamboni 27-29, dall'estate del 1943 divenne la base di un gruppo di aderenti al partito d'azione che vi nascosero armi e materiale vario e vi impiantarono una sorta di "ufficio anagrafico", ovvero la produzione continua di documenti falsi, per perseguitati politici, fuggiaschi, ebrei; nella soffitta venne poi installata anche una radio trasmittente.
Anche dopo l'arresto e lo sterminio dei dirigenti del partito d'azione, l'attività clandestina della biblioteca non si fermò e alcuni dei fondatori del primo nucleo, ne insediarono un altro nell'Istituto di Geografia, in via San Giacomo 3, che risultava strategico per i suoi molteplici accessi: l'entrata principale di via san giacomo; gli accessi del palazzo universitario centrale in via zamponi ed in via Belmeloro, attraverso il cortile; l'istituto di chimica e altri istituti adiacenti, attraverso i cortili e i giardini ed un rifugio antiaereo.
Alla fine dell'inverno del 1944 nella soffitta venne collocata una radiotrasmittente e i tecnici addetti alla trasmissione riuscirono anche a fabbricare - con materiale proveniente dalla Ducati - radio da campo destinate ai reparti armati. Contemporaneamente nelle cantine dell'istituto venivano raccolti viveri, armi e medicinali.
Massenzio Masìa aveva affidato il comando della nuova cellula a Mario Bastìa ed era convinto che l'istituto sarebbe diventato sede del quartier generale dell'ottava brigata partigiana, con la funzione anche di tutela della sede centrale, delle biblioteche, degli istituti e dei laboratori scientifici.
Nell'autunno del 1944 l'ottava armata alleata, pareva sul punto di sferrare l'attacco definitivo ed il comando alleato trasmise l'ordine di fare affluire a Bologna le formazioni partigiane operanti in montagna, perché prendessero possesso della città.
Confidando nell'imminenza dell'azione alleata, Mario Bastia guidò - il 10 ottobre - il colpo di mano contro la caserma della polizia ausiliaria di Strada Maggiore 45, con l'appoggio di elementi interni della caserma stessa, e riuscì ad impadronirsi di un considerevole quantitativo di armi e di munizioni che vennero trasportate nell'Istituto di Geografia.
Ma il comando alleato dovette sospendere le operazioni sul fronte appenninico e ordinò di rinviare i partigiani già affluiti a Bologna alle loro basi. Furono sistemati, con tutte le possibili cautele, negli scantinati bombardati o disabitati, nelle fabbriche chiuse e abbandonate, ma la tensione diede luogo ad una successione di scontri e di conflitti a fuoco, con perdite rilevanti da entrambe le parti ed eccidi di popolazioni inermi nel territorio.
L'intensificazione dell'azione di vigilanza portò il 19 ottobre all'arresto di un giovane, in quanto renitente alla leva, che faceva parte del gruppo dell'Istituto di Geografia e di conseguenza all'individuazione della cellula, che non si era prontamente dispersa, perchè nessuno pensava che si sarebbe potuti risalire all'esistenza del centro.
Verso le due del pomeriggio vennero avvistati i primi camion delle brigate nere e, in un attimo, il quadrilatero universitario fu circondato. La decina di uomini presenti nell'Istituto di Geografia potevano solo cercare la via della fuga verso il palazzo centrale e gli altri istituti, tra cui l'Istituto di Chimica, dove nelle soffitte c'era un deposito di armi e munizioni e dove si accese una violenta battaglia. Lo scontro durò fino all'imbrunire quando i cinque combattenti che vi avevano trovato riparo, esaurite le munizioni, dovettero arrendersi.
I cinque uomini, trascinati nel cortile dell'Aula Magna, furono fucilati insieme ad un altro compagno ferito e precedentemente catturato. Prima della morte, trovarono breve conforto nell'assoluzione del parroco di San Sigismondo. Il parroco, chiamato da un funzionario dell'Università, raccolse l'ultimo saluto di Mario Bastìa, che aveva preferito unire il proprio destino a quello dei suoi compagni, pur essendosi precedentemente messo in salvo.
La lapide, posta nel luogo dell'esecuzione, ricorda: Ezio Giaccone, di Mantova, impiegato in un'azienda commerciale, ventotto anni; Leo e Luciano Pizzigotti, di Castel San Pietro, artigiani, ventisette e ventiquattro anni; Stelio Ronzani di Dozza, operaio, trent'anni; Antonio Scaravilli, di Cesarò (Messina), studente della Facoltà di Legge, ventisette anni; Mario Bastìa, perito industriale di Bologna, ventinove anni.

 

Descrizione Lapide

Bastia Mario

Giaccone Ezio

Pizzigotti Leo

Pizzigotti Luciano

Ronzani Stelio

Scaravilli Antonino


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