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Poligono di Tiro

Il Poligono di tiro

 

Nella mappa dell’orrore del sacrificio partigiano, il Poligono di tiro nazionale di Bologna è luogo macabro di fucilazioni di massa che scandiscono con dolore i giorni della Resistenza in una sequenza costante di pagine di storia raccontata da date e numeri.

Nel 1955, in occasione del decimo anniversario della Liberazione, il consiglio comunale decide e delibera di finanziare la costruzione del monumento in onore e memoria delle vittime. Una stele in arenaria afiolitica di Montovolo e una scultura in ferro fuso dello scultore Romano Franchi commemorano le 270 esecuzioni capitali. L’epigrafe originale autografa è di Giuseppe Gabelli, assessore all’istruzione della giunta del sindaco Giuseppe Dozza.

 

Ai 270 fucilati dai nazifascisti la Città di Bologna orgogliosa e memore dei suoi figli che qui fieri si immolarono per la libertà e la giustizia sociale a perenne esempio ed amore dedica. 8 settembre 1943 – 21 aprile 1945.

 

Non c’è un archivio delle vittime: non tutti i fucilati hanno un nome, un volto e una storia, molti sono ancora sconosciuti, vittime di una rappresaglia, di un rastrellamento, colpevoli di essere soldati disertori o più semplicemente di trovarsi nel momento e nel luogo sbagliato. La ricostruzione cronologica delle fucilazioni viene in parte ricavata dalla cronaca locale de “il Resto del Carlino”, che amplifica l’azione di propaganda antirepressiva per esecuzioni “eccellenti” e per azioni considerate ad alto effetto dimostrativo, per  una maggiore comunicazione, se ancora non fosse chiaro, del messaggio di morte. La lotta contro la resistenza si combatte anche con la diffusione delle notizie della repressione antipartigiana, ma soprattutto viene amplificata dalle “vittorie” ottenute che si traducono in condanne capitali o legittime esecuzioni dei tribunali militari. L’azione a supporto della desistenza investe in modo massiccio l’opinione pubblica con fucilazioni pubbliche plateali che avvengono in pieno centro all’angolo del Sacrario di piazza del Nettuno, altro luogo della mappa dell’orrore, chiamato con macabra ironia “posto di ristoro dei partigiani”, dove i corpi vengono spesso esposti per giorni alla vista dei passanti. Questa disumana strategia comunicativa cambierà solo in un secondo tempo. Le morti infatti verranno nascoste, i luoghi delle fucilazioni di massa trasferiti in periferia, senza alcuna apparizione sugli organi di stampa, così come dimostrano le scoperte postume delle Fosse di San Ruffillo e quelle dei calanchi di Sabbiuno di Paderno. Le notizie sul Poligono di tiro appaiono e scompaiono in un effetto carsico di comunicazione, seguono logiche legate a scelte di emergenza del momento e non obbediscono ad una strategia complessiva, senza nulla togliere a quello che il luogo rappresenta e che di fatto è stato.

A Bologna, il Poligono è il luogo deputato alle esecuzioni capitali, alle fucilazioni collettive.

Amerigo Donatini e Max Emiliani, due partigiani toscani catturati a Marradi (Firenze) e portati a Bologna per essere interrogati, sono i primi ad essere fucilati al Poligono il 30 dicembre 1943. Adriano Brunelli, Lino Formili e Giancarlo Romagnoli vengono presi a Lizzano in Belvedere, nell’Appennino bolognese, e fucilati pochi giorni dopo il 3 gennaio 1944. Sono questi i primi cinque nomi che appaiono sulla stampa e su un volantino in lingua italiana e tedesca per annunciare l’avvenuta esecuzione. 

“Condanna a morte di tre terroristi. La sentenza già eseguita. Dal Tribunale germanico sono stati giudicati e condannati a morte l’autista Lino Formichi [!] di anni 27 da Lizzano in Belvedere; Adriano Brunelli, meccanico di 20 anni e Chiantano [!] Romagnoli di anni 20, da Baricella. I tre facevano parte di bande e svolgevano la loro attività contro le Forze Armate germaniche. La sentenza è stata eseguita all’alba di ieri”.

Da questa data iniziale, fino al 18 aprile 1945 pochi giorni prima della Liberazione, quando muoiono Federico Benfenati, Otello Bonvicini, Salvatore Cabras, Cesarino e Pietro Gruppi e Alessandro Ventura, si susseguono altre drammatiche pagine di resistenza in un’impressionante sequenza di morte. Altre fonti riusciranno a completare la lista dei 270 trucidati al Poligono, nella speranza che il tempo ci consenta di avvicinarci il più possibile al riconoscimento di tutti, perché senza un nome ed un cognome ogni numero, spogliato della sua personalità, finisce per essere dimenticato, perduto nella memoria e nella storia.

Il 26 gennaio 1944 il federale fascista Eugenio Facchini viene colpito a morte da colpi di rivoltella mentre sale lo scalone della Casa dello studente, sede del Guf di via Zamboni, 25, da individui sconosciuti. Nella sera dello stesso giorno si riunisce il Tribunale straordinario militare di guerra che condanna alla pena di morte mediante fucilazione alla schiena Alfredo e Romeo Bartolini, Alessandro Bianconcini, Silvio Bonfigli, Cesare Budini, Ezio Cesarini, Francesco D’Agostino e Zosimo Marinelli, detenuti in carcere perché partigiani e per questo colpevoli di aver “alimentato in conseguenza l’atmosfera del disordine e della rivolta e determinato gli autori materiali dell’omicidio a compiere il delitto”. La rappresaglia viene eseguita il 27 gennaio 1944 in “una località di periferia”, al Poligono di tiro.  I fratelli Alfredo e Romeo Bartolini sono operai alla Cogne di Imola; Alessandro Bianconcini è professore di violino ad Imola e il suo nome verrà dato alla 36a brigata Garibaldi; Silvio Bonfigli è partigiano in Umbria e poi a Bologna dove verrà incarcerato; Cesare Budini è un impiegato di 46 anni; Ezio Cesarini è giornalista de “il Resto del Carlino”, medaglia d’argento al valor militare; Francesco D’Agostino, 62 anni, primario chirurgo dell’ospedale civile di Imola; Zosimo Marinelli, 50 anni, antifascista di Zocca. Otto vite che s’intrecciano nel tragico momento della fucilazione, età e mestieri diversi, morti insieme per rappresaglia perché partigiani.

Il 3 luglio 1944 vengono fucilati per rappresaglia a seguito dell’uccisione di un soldato tedesco a colpi di arma da fuoco in via del Pratello il 26 giugno 1944 e perché sospetti di attività comunista, Giuseppe Balocchi, Danilo Barca, Paolo Bononcini, Luigi Labanti e Cesare Palmini. Gli altri cinque partigiani citati nell’articolo sono: Luigi Salmi, Silvano Rubbini e Dino Pancaldi di Budrio; Rino Balestrazzi e Cleto Casi di Bologna fucilati l’1 luglio 1944 a San Martino di Pedriolo, località del Comune di Casalfiumanese. (Fucilazione di dieci comunisti per l’uccisione di un militare tedesco, “il Resto del Carlino”, 6 luglio 1944).

Il 30 agosto 1944, altri dodici partigiani vengono fucilati per rappresaglia in seguito all’uccisione del colonnello della Guardia nazionale repubblicana Elio Zambonelli e del tenente colonnello dell’esercito Pasquale Vetuschi. “I suddetti individui svolgevano attività terroristica e sovversiva” così “il Resto del Carlino”, 31 agosto 1944 sotto il titolo Terroristi sovversivi passati per le armi. I loro nomi: Floriano Atti, Renato Bentivogli, Luciano Bracci, Gaetano Bussolari, Arturo Garagnani, Celestino Garagnani, Giocondo Musi, Luciano Nanni, Agostino Pietrobuoni, Alfonso Sghinolfi, Renato Sordi e Cesare Zanasi.

Il 10 settembre 1944 un battaglione tedesco compie un rastrellamento in un podere nel tentativo di localizzare la stamperia clandestina di Conselice (Ravenna). Catturati feriti dai nazisti, vengono fucilati al Poligono di tiro di Bologna l’1 ottobre 1944: Pio Farina, Cesare Gaiba, Giovanni Quarantini ed Egidio Totti. Insieme a loro, probabilmente per rappresaglia, trovano la morte anche Domenico Giuliani e Gualtiero Santi.

Tra il 18 e il 20 ottobre 1944 si consuma l’eccidio dell’infermeria di Cavina (Fognano, Ravenna) quando vengono fucilati circa trenta partigiani, medici, infermieri, studenti e combattenti feriti catturati in una canonica trasformata in ospedale dopo la battaglia di Santa Maria di Purocielo (Ravenna). Inizialmente graziati dai tedeschi per aver curato anche i feriti nemici, vengono prelevati e portati a Bologna per essere fucilati al poligono.

Altre date importanti: il 13 dicembre 1944, dopo la scoperta dell’infermeria della 7ª Gap in via Duca D’Aosta n. 77, ora via Andrea Costa, dove sono ricoverati i feriti delle battaglie di Porta Lame e della Bolognina, sono fucilati quattordici partigiani combattenti:

Arrigo Brini, Giancarlo Canella, Franco e Settimo Dal Rio, Ardilio Fiorini, Gian Luigi Lazzari, Rossano Mazza, Nicolai partigiano sovietico, Lino Panzarini, Enrico Raimondi, Luciano Roversi, Riniero Turrini, Giorgio Zanichelli e un partigiano olandese.

Il 23 settembre 1944, condannati a morte dal Tribunale militare, vengono fucilati otto dirigenti del Partito d’Azione: Sario Bassanelli, Sante Caselli, Arturo Gatto, Mario Giurini, Massenzio Masia, Armando Quadri, Pietro Zanelli e Luigi Zoboli.

L’orrore non risparmia le donne: Ada Zucchelli, 27 anni, di professione operaia bustaia, partigiana della 7ª brigata GAP Gianni Garibaldi, partecipa al gruppo che prepara l’azione di liberazione delle carceri di San Giovanni in Monte con la responsabilità dei collegamenti con i detenuti ed Irma Pedrielli, 20 anni, operaia orlatrice, staffetta della 7ª Gap, addetta al servizio informazioni e collegamenti. Per una delazione, il 14 settembre 1944 vengono catturate dalle brigate nere nell’abitazione di Ada Zucchelli in via Ponte Romano, insieme al nipote di quest’ultima, Roveno Marchesini. Dopo orrende torture, vengono fucilati il 16 settembre 1944 al poligono di tiro.

Questi i numeri e le date, una cronologia ancora incompleta, che testimonia l’impressionante sequenza di morti che attraversa la storia della Resistenza a Bologna. Nomi e cognomi che riempiono il vuoto dei numeri, danno un volto e raccontano le tante vite vissute e perdute per la libertà.

 

paola furlan 

 

Monumento Poligono di tiro

La lapide

 

Infermeria di Càvina:

Bagni Alfonso

Bordini Nino

Borghi Giovanni

Brini Adelmo

Guazzaloca Laura

Guerra Mario

Menzolini Romolo

Minozzi Sergio Giulio

Moretti Renato

Muratori Pietro

Ottonelli Attilio

Pasciuti Iliano

Rispoli Luigi

Terzi Ferruccio

Toni Teodosio

Willi

Giù